Quel braccio di ferro tra privacy e concorrenza dietro il caso Apple

Quel braccio di ferro tra privacy e concorrenza dietro il caso Apple

Questa seconda caratteristica, in particolare, renderebbe Apple un operatore in posizione dominante sul mercato dei sistemi operativi per dispositivi mobili “non licenziabili” (o chiusi); mercato questo distinto, secondo i precedenti della Commissione control Google/Android, da quello dei sistemi operativi “licenziabili” (o aperti), in cui è appunto Android il soggetto ritenuto dominante. Ne consegue che le condotte di Apple eventualmente ritenute “discriminatorie”, ad esempio perché aventi l’effetto di avvantaggiare la propria raccolta pubblicitaria rispetto a quella dei concorrenti, possono costituire una violazione antitrust nella forma dell’abuso di una posizione di mercato dominante (art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea). Sul divieto di commercializzare app al di fuori dell’Apple Store, tra l’altro, sono già in corso due indagini antitrust della Commissione su denuncia di Spotify ed Epic Games.

La privacy come asset competitivo

Non sembra che siano ancora state avviate indagini formali antitrust contro l’aggiornamento della privacy policy di Apple. Ma le affermazioni della Commissaria Vestager sembrano avallare definitivamente la tendenza a considerare le regole sulla privacy adottate dalle piattaforme di internet come un driver cruciale della competizione nei mercati digitali (soprattutto con riferimento alla raccolta pubblicitaria, che ne è la principale fonte di ricavi), perciò assoggettabili alle leggi antitrust e non solo di privacy. Sebbene tale teoria sia da tempo dibattuta a livello accademico, solo l’autorità italiana (oltre a quella tedesca) risulta essersi spinta a compiere passi formali in questa direzione. L’Agcm, infatti, a fine ottobre del 2020 ha avviato un’istruttoria contro Google per una condotta per certi versi simile a quella qui in commento, affermandosi tra le autorità più attive e aggressive nell’applicazione delle regole antitrust nel settore digitale. Ma anche l’Autorità francese potrebbe essere pronta ad azioni in questa direzione, posto che un’organizzazione di operatori di online advertising ha di recente presentato una denuncia antitrust in quel Paese proprio con riguardo alle modifiche delle regole di privacy adottate dalla Apple.

Fino ad ora, la commistione tra temi di privacy e di antitrust sollevata dall’economia digitale è stata affrontata come un tema di “convergenza” tra normative che fino a poco tempo fa sembravano appartenere ad ambiti completamente diversi. I più recenti indirizzi di politica sulla concorrenza europea tendono infatti a considerare la tutela della privacy come un elemento di qualità (o minor “prezzo”) dei servizi digitali, di talché ad una maggiore tutela della privacy dovrebbe corrispondere anche una maggiore competitività nei servizi digitali. L’approfondimento della conoscenza della dinamiche competitive legate all’uso dei dati sembra però ora evidenziare anche un potenziale conflitto tra i due ambiti normativi: mentre, da un lato, le regole di privacy applicate da Apple e Google sembrano aumentare nettamente la protezione dei dati degli utenti (e quindi la “qualità” o il “prezzo”) dei servizi digitali; dall’altro, la loro declinazione pratica potrebbe avere l’effetto di limitare la concorrenza tra fornitori di servizi digitali in ecosistemi “chiusi”, in cui gli utenti non hanno reale possibilità di migrare (switching o multi-homing) verso altre piattaforme se non affrontando costi ingenti (es. con l’acquisto di un nuovo dispositivo). Tuttavia, colpire come infrazioni antitrust pratiche che tendono a migliorare la privacy degli utenti sembra andare in controtendenza rispetto a quanto fino ad ora predicato dalle medesime autorità di concorrenza europee.

È quindi necessario e urgente che si trovi un giusto bilanciamento tra le due esigenze, che consenta alle grandi piattaforme (cd gatekeepers) di prevedere con sufficiente certezza quali condotte e quali condizioni di privacy possono offrire ai propri utenti senza incorrere in onerosissime multe antitrust. Del resto, anche la certezza del diritto e la libertà d’impresa sono principi meritevoli della massima tutela costituzionale. La nuova proposta di Digital Markets Act della Commissione, attualmente in discussione, sembra essere la sede opportuna per operare questa composizione, ma al momento non sembra che il tema sia affrontato in modo compiuto.


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